Come spesso è stato preso in esame dai musicologi il
perimetro della “popular music” contiene tutto quel materiale sonoro diffusosi
nella società di massa, ovvero in quel modello sociologico venutosi a creare
con la fase dell’industrializzazione caratterizzata dall’uso dei media.
C’è da individuare nella diffusione dell’elettricità e degli apparati da questa
alimentati il punto di partenza per la grande diffusione della “popular music”
attraverso i mass media sempre più popolari e sempre più sofisticati sistemi di
produzione e riproduzione del suono.
La “popular music” si è sviluppata attraverso una serie di interazioni con vari
elementi proposti dalla società capitalista nel corso del suo sviluppo e delle
sue crisi.
Il primo assunto che a qualsiasi ascoltatore appare chiaro è che sia mutata nel
tempo con i costumi e le altre sovrastrutture della società, la “popular music”
è fortemente connessa con i gruppi sociali che la fruiscono anche se soltanto
in modo occasionale. Una delle sue caratteristiche è nella connessione fra la
musica e i comportamenti dei vari segmenti di pubblico che la fruiscono.
Uno degli elementi centrali delle evoluzioni dei vari generi di “popular music”
è il modello di consumo.
Questi due modi di fruizione erano presenti nella società
del settecento come lo sarebbero nel millennio in corso se non fosse intercorsa
la pandemia da Covid 19 che ha generato un’interruzione totale e poi parziale
anche di queste modalità relegando, auspichiamo contemporaneamente, alla
fruizione registrata o “mediata” il predominio del consumo di “popular music”.
Dopo la crisi dei supporti fisici i modelli di fruizione "collettiva" sono stati
uno dei perni del sistema economico di questi generi musicali ma anche
un’istanza nella quale gli esecutori avevano ancora, pur nelle interazioni
inevitabili con i fruitori, un controllo assoluto sul prodotto musicale, in
termini di forma e durata, svincolato dalle logiche, che vedremo, presenti
nell’ascolto della musica registrata.
L’elemento caratterizzante la diffusione della “popular music” nel XX secolo è
nel ruolo svolto dai “mass media” che hanno introdotto nuove modalità di
fruizione sia individuale che collettiva e che nel presente stanno mutando in
modo rilevante.
Queste modalità hanno dato luogo a nuovi stili e modelli di consumo e a una definizione
dei pubblici in base a raggruppamenti permanenti o provvisori legati a
caratteristiche sociali, culturali, anagrafiche, etniche o di genere.
Prendiamo in considerazione alcuni modelli fruitivi frutto
della società di massa e del XX secolo.
Innanzi tutto partendo dall’ascolto radiofonico.
Questo modello è profondamento cambiato con gli sviluppi tecnologici che da
esclusivo e centrale nella società industriale nei primi decenni del secolo
diviene nel nuovo millennio frantumato in milioni di rivoli sulla rete.
La radio passa da strumento esclusivo delle emittenti di stato a mezzo
disintegrato in una miriade di flussi semi-individuali fatti di podcast e
streaming perdendo il senso anche di trasmissione in diretta irripetibile,
sostituita da piattaforme in grado di erogare flussi audio appartenenti a
epoche differenti e tutti i generi musicali conosciuti contemporaneamente.
Nel corso del secolo la trasformazione del sistema radiofonico da pubblico a
privato, da stanziale a mobile, ha profondamente influenzato la diffusione e i
cambiamenti negli stili musicali della “popular music” ma il tempo ha reso
sempre meno centrale il suo impiego.
La radio in etere sopravvissuta resta, per i suoi costi di gestione, in mano a
gruppi economici e politici come strumento di diffusione pubblicitaria e di
informazione mainstream ma per la “popular music” nelle sue complessità
stilistiche assolve ormai un ruolo marginale.
La rete ha determinato una proliferazione dei canali ormai ordinati per tag e
parole chiave inerenti ai generi ma la frammentazione tipica del web rende la
moltitudine caotica dei broadcast e dei podcast incapace di orientare i
pubblici se non i casi circoscritti al mainstream o a nicchie di pubblico.
La televisione ha subito un cambiamento rilevante nel corso del XX secolo
sostituendo la radio come strumento di comunicazione preferito dalle masse e
passando da media erogato da emittenti statali a media commerciale nel giro
due-tre decenni derogando al suo potenziale educativo e culturale.
Nel nuovo millennio le nuove tecnologie ne hanno riconfigurato completamente la
natura, se da un lato c’è una trasformazione massiva verso la tv on demand o
tematica dei canali tradizionali generalisti dall’altro la nascita di
piattaforme di rete come Youtube e Twitch hanno completamente stravolto le
modalità d’uso del media generando una proliferazione incontrollata di
contenuti e la contemporanea coesistenza di materiali delle epoche più diverse
in un unicum spaziotemporale virtuale.
Come sostiene Simon Reynolds nel suo “Retromania” riguardo
al ruolo svolto da YouTube nella diffusione di materiale audiovisivo “YouTube
è un contenitore di stralci fondato sulla frammentazione di narrazioni più
lunghe (il programma, il film, l’album), ma questa funzione ci incoraggia, in
quanto spettatori, a scindere gli spezzoni in unità ancora più piccole,
erodendo insidiosamente la nostra capacità di concentrazione e la nostra
volontà di lasciare che le esperienze si dischiudano. Ma è internet in quanto
tale a rendere più fragile e incostante il nostro senso della temporalità:
piluccando i dati senza posa, saltelliamo nervosamente qui e là in cerca del
prossimo zuccherino istantaneo” (pp.103, 104, op. cit.).
Queste tendenze si sono intensificate con le nuove architetture social come
TikTok e Instagram che utilizzano frammenti sempre più piccoli e che si stanno
profilando come sistemi preferenziali per i nuovi pubblici alla diffusione di
materiale sonoro.
Il terzo mediium “chiave” che ha permesso la diffusione globale della “popular
music” è costituito dai sistemi di riproduzione. Questi sistemi introdotti da Thomas
Edison a fine ottocento hanno introdotto una riproducibilità tecnica del
contenuto musicale sempre più sofisticata in grado di superare per qualità le
stesse esecuzioni dal vivo permettendo lo sviluppo di forme musicali e stili
derivanti dal rapporto fra autore e sistemi di registrazione.
Questo settore, oltre ad aver vissuto una parabola repentina sotto il profilo
della redditività economica, ha subito delle trasformazioni radicali.
I cambi dei formati utilizzati hanno stravolto la concezione di produzione e di
ascolto più di ogni altra cosa.
La stessa estensione temporale della durata dei supporti vinilici degli anni ‘60
ha determinato un cambiamento epocale nel modo di scrittura e di ascolto della
“popular music”.
Gli autori sono passati da prodotti di breve durata collegati al tempo medio di
ascolto radiofonico e alla prima generazione di supporti (78 e 45 giri) a
generare opere di maggiore complessità e durata, i cosiddetti “album”
(inizialmente “33 giri”) un formato che sopravvive ancor oggi malgrado la morte
dei supporti e la preferenziale proposizione del modello iniziale (brani brevi
e singoli) da parte delle piattaforme attuali di streaming.
Questo elemento è
una delle più chiare dimostrazioni di come il modello fruitivo (il long
playing) abbia cambiato sia le modalità creative che quelle fruitive e la sua
incisività è stata talmente rilevante da sopravvivere, anche se oggi in pieno
declino, alla morte del supporto che ne ha determinato l’esistenza.
L’ascolto dei supporti vinilici, a nastro e dei primi digitali se da un lato
aveva permesso una fruizione ubiqua del prodotto musicale (attraverso walkman o
autoradio) considerava ancora centrale sia la fruizione individuale domestica
del prodotto che l’assemblato di più brani in un unico “album” di diversa
durata.
Il mercato del supporto si è disintegrato e i brani in forma liquida sono fruiti tramite strumenti qualitativamente inadeguati ma molto pratici nell'uso quotidiano che permettono, fra le altre cose, un assemblamento in playlist personalizzate dei brani talmente immediato da parte del fruitore che l’idea stessa di “album” appare oggi anacronistica.
Oltre alla compressione, già presente nella tecnologia a file tipo mpeg (sostanzialmente superata nel download con la maggiore diffusione di formati ad alta qualità come wav, aiff o flac ) spesso ancora mantenuta nello streaming, un punto centrale resta l’impiego capillare di strumenti appena sufficienti (come casse bluetooth, cuffie per telefonia, speaker di tablet e smartphone o dei laptop, schede audio da pochi centesimi embedded negli apparati). Questo tipo di ascolto non valorizza né le dinamiche del suono né l’estensione della banda audio e ha prodotto già dagli anni ‘90 a una rincorsa della “compressione” selvaggia dei brani già alla fonte, quindi quando la musica è ancora nelle mani dell’autore.
L’interazione fra la fruizione della sola musica in streaming e il consumo in
associazione a materiale audiovisivo attraverso le piattaforme social determina
una sempre maggiore contrazione delle durate e un approccio al materiale audio
estrapolato dagli elementi che l’autore vi ha collegato alla sua messa sul
mercato (ad esempio la copertina o il videoclip di promozione).
Restano strati generazionali che hanno mantenuto consuetudini del passato ma la direzione verso la quale si sta muovendo la “popular music” è quella di una serie di prodotti di breve durata da fruire isolatamente alla produzione complessiva dell’artista e in contemporanea ad altre attività.
La diffusione delle tecnologie Web 2.0 e in particolare dei “social” ha prodotto un consumo delle informazioni sempre più rapido e informale che ha generato una diminuzione progressiva della soglia di attenzione. Il successo delle “storie” di Facebook e Instagram, micropillole audiovisivo-testuali prodotte dagli utenti, ha prodotto ulteriori nuovi social, come TikTok, in cui il contenuto prevalente è inferiore al minuto.
Questo paesaggio è simile a quello che offrono altre arti come quelle figurative e/o la fotografia nell’era capitalista della riproducibilità tecnica digitale e della diffusione globale istantanea dei contenuti.
Un mondo popolato da miliardi di immagini sparate e condivise in un magma disordinato senza alcun ordine e privilegio che mischia indifferentemente la foto dei gatti, quelle di Salgado, la Gioconda, un fotogramma di un film e quelle delle vacanze.
Una frantumazione visiva e sonora nella quale ogni cosa è oggetto immateriale, svalorizzato e decontestualizzato dalla sua origine parificato dentro un calderone unico.
Un orizzonte inquietante che accompagna il progresso offerto dal
multinazionalismo digitale che preferisce accaparrarsi il surplus
comportamentale degli utilizzatori sfruttando qualsiasi elemento possa
caratterizzarne le inclinazioni spacciandosi abilmente per strumento di libera comunicazione.
Quali cambiamenti apporterà alla cultura
popolare e quindi alla "popular music"?
Siamo nel pieno di una ennesima trasformazione epocale la direzione che sta prendendo si sta appena configurando.
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