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Kraftwerk, il suono di un passato futuro.

 da www.princefaster.com

https://www.princefaster.it/kraftwerk-il-suono-di-un-passato-futuro/


Nel 1997, il New York Times ha definito i Kraftwerk i “Beatles della musica dance elettronica” e il parallelo è stato a più riprese riproposto da pregiate riviste musicali e di cultura generale come Rolling Stone, The Guardian o LA Weekly che ne hanno anche esteso la portata con titoli come “Kraftwerk Are More Influential Than The Beatles”.

Non si tratta solo di titoli ad effetto né di un paragone propriamente musicale, ma di prendere in esame gli impatti che determinate scelte, incluse certe volte in specifici dischi “epocali” o disseminate attraverso vari lavori, abbiano avuto sui gusti del pubblico, sulle scelte di migliaia di musicisti e sugli stili musicali degli anni successivi, o semplicemente sulla capacità che queste due band, anche inconsapevolmente, hanno avuto di prevedere quali sarebbero stati gli sviluppi della popular music.

A distanza di 50 anni non vi sono più dubbi sui meriti del quartetto di Liverpool e sulla loro capacità di incardinare le pulsioni ritmiche del rock and roll americano e della Motown dentro gli stilemi della musica europea, mostrando le innumerevoli interazioni che il sound afroamericano poteva avere con la tradizione musicale anglosassone e non solo, dalla ballata folk ai quartetti d’archi, dalla tape music fino alla musica indiana, determinando una serie di svolte che hanno permesso la nascita di vari filoni stilistici ancora oggi al centro del mainstream del rock.

Ma la consapevolezza dell’impatto avuto dai Kraftwerk sul mondo della popular music è relativamente recente e si è manifestata innanzi tutto nel nord Europa dove gli stili “elettronici” hanno assunto un ruolo portante ben prima che nel nostro paese.

“Noi avevamo predetto che la musica elettronica sarebbe stata la fase successiva della musica popolare mentre la gente ci prendeva per pazzi” (Ralph Hutter, da Kraftwerk, Gabriele Lunati, Stampa Alternativa).

Il Krautrock e il rock anglosassone.

Innanzi tutto andrebbe preso in considerazione lo scenario storico in cui i Kraftwerk sono nati: la fine degli anni ’60 in Germania Federale, un paese occupato dalle forze angloamericane e con un passato recente cancellato dalla rimozione dalla coscienza collettiva del periodo nazionalsocialista.

“Ma nella Germania occidentale c’erano inglesi e basi aeree americane. Come teatro della vittoria degli Alleati- la Germania occidentale era la casa di migliaia di soldati americani e britannici, quindi la radio tedesca è stata molto veloce a captare il rock ‘n’roll dall’inizio. I ragazzi della Germania occidentale del dopoguerra impararono il loro inglese dalla radio e dalla TV; avevano tutti l’accento americano“ (Julian Cope, Krautrocksampler: One Head’s Guide to the Great Kosmische Musik – 1968 Onwards, Head Heritage,1995).

In questo contesto la popular music era fortemente condizionata dalla cultura statunitense e dai suoi generi musicali che permeavano la gioventù tedesca prossima al ’68. In particolare si diffusero gruppi e artisti fortemente condizionati dalla psichedelia e dal blues rock che andarono a costituire l’asse portante del cosiddetto “krautrock”, il rock tedesco così denominato dalla stampa musicale inglese.

Una costola importante del “krautrock” deviò, non certo casualmente, verso l’impiego di strumenti elettronici, se da un lato attratta dai momenti più surreali della musica di gruppi inglesi come i Pink Floyd dall’altro influenzata da una della figure più imponenti della nuova musica colta tedesca: Karlheinz Stockhausen.

Nel 1946 finita la guerra si manifestò la necessità di riprendere la ricerca musicale interrotta dal nazismo e un gruppo di compositori decise di dare vita a dei corsi estivi sulla “nuova musica” nella città tedesca di Darmstadt in Assia che diverrà l’epicentro europeo dell’avanguardia musicale.

“La Germania era il centro di tutta la più importante musica sperimentale moderna e di Karlheinz Stockhausen, il più grande compositore moderno che viveva proprio lì tra loro. Nato nel 1928, Stockhausen faceva parte di una tradizione antica e in continua evoluzione. Aveva studiato sotto il mistico francese, Olivier Messiaen, e cresciuto con il nuovo flusso di compositori sperimentali, come Pierre Boulez, Karel Goeyvaerts e John Cage. Stockhausen era un visionario in ogni modo. La sua mente vedeva e le sue orecchie sentivano le cose in modo del tutto diverso dalle altre persone.” (Julian Cope, Krautrock Sampler, Op. Cit.).

Nel 1951 Herbert Eimert fondò lo Studio für elektronische Musik des Westdeutschen Rundfunks (WDR), lo studio per la musica elettronica della Radio WDR di Colonia, nel quale lavoreranno alcuni dei più importanti compositori contemporanei a partire proprio da Karlheinz Stockhausen.

“.. con il progredire degli anni ’60, Stockhausen divenne un’icona per tutti i nuovi aspiranti artisti tedeschi dell’ovest. La sua musica selvaggia lo stava portando a New York, Londra, Parigi, e dimostrò che essere se stessi poteva ancora permettere all’artista tedesco di guadagnarsi un posto nella sfera internazionale….Karlheinz Stockhausen è al centro dell’intera storia del Krautrock.” (Julian Cope, Krautrock Sampler, Op. Cit.).

E’ quindi la musica contemporanea elettronica l’unico vero patrimonio originale della tradizione tedesca post bellica e questo elemento condizionerà non poco alcuni autori del “krautrock” attratti dalla possibilità di svincolarsi dagli schemi angloamericani della musica per chitarre e batteria spostandosi verso una concezione originale del rock. L’intento di spezzare il colonialismo culturale angloamericano è ben presente in alcuni settori della gioventù tedesca alimentati anche dai fermenti politici che attraversano tutto il continente a partire dal ’68 e questa consapevolezza è chiara in Ralph Hutter, uno dei due fondatori dei Kraftwerk.

Preferiscono pescare nell’estetica europea del futurismo, del razionalismo, dello strutturalismo russo, al realismo socialista per costruire nuovi modelli anche grafico-visuali attorno ai quali costruire la propria immagine. Ralph Hutter è molto chiaro in proposito:

“Il nostro confronto con la realtà non è ideologico, ma culturale, Il concetto generale in cui ci muoviamo può essere definito futurismo tecnologico. Siamo stati molto influenzati dal movimento architettonico e artistico della Bauhaus tedesca degli anni Trenta, ma anche dal movimento libertario della Russia immediatamente post-rivoluzionaria. Insomma, in noi c’è una fusione tra le nuove idee portate dalla società russa negli anni Venti, e la tecnologia tedesca sviluppatasi intorno alla stessa epoca. Noi operiamo una fusione degli ultimi
autentici contributi della cultura umanistica e tecnologica autenticamente europea, o mitteleuropea se preferite.

Dopo la guerra, l’Europa è stata invasa dal neocolonialismo industriale americano. Noi cerchiamo di ristabilire una nostra identità europea, in alternativa all’imperialismo culturale e consumistico americano.

Le società europee degli anni Trenta erano in ogni senso più progredite di quelle attuali, specie dal punto di vista della creatività tecnologica e artistica. Per poter avanzare verso il futuro, bisogna dunque prima ritornare a quegli anni e ripartire in senso verticale, cancellando il passo indietro determinato dalla colonizzazione
americana dell’Europa avvenuta nel dopoguerra”. (Ralph Hutter, da Kraftwerk, Gabriele Lunati, Stampa Alternativa, p.12).

Uno dei filoni portanti del rock tedesco è quello “cosmico” che, ispirato ai momenti più astratti dei primi Pink Floyd e naturalmente alle sperimentazioni elettroniche di Stockhausen, troverà i suoi maggiori rappresentanti in gruppi come Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, Cosmic Jokers, Klaus Schulze, Conrad Schnitzler dove l’uso massiccio di sintetizzatori andrà gradualmente a sostituire tutti gli strumenti tradizionali.

La Kosmische Musik è un’importante area del krautrock, con i suoi tappeti “spaziali” di sintetizzatori è alla base di tutta la drone music e dell’ambient dei decenni successivi.

I Kraftwerk.

In un primo tempo il sound dei Kraftwerk si inserisce nel filone “minimalista”, una corrente presente nel “krautrock” che avrà importanti esponenti in gruppi come i Can, Cluster, Harmonia e Neu! (fondati da due ex collaboratori dei Kraftwerk, Klaus Dinger e Michael Rother).

Uno stile completamente controcorrente rispetto alle tendenze anglosassoni dell’epoca, piene di assoli, stacchi, tempi-dispari e virtuosismi. In questa fazione del rock tedesco, che mantiene sommariamente parte della strumentazione elettrica tipica del rock, la costruzione dei brani si fonda su micro-cellule melodiche e brani sorretti da ritmiche cicliche di cui il famoso “Motorik” è l’espressione più famosa.

Il groove “Motorik”, ispirato al ritmo del motore dell’automobile, ricorrerà spesso nella new wave, nella synthwave, nel post-rock e in varie correnti musicali successive.

I Kraftwerk, inizialmente prodotti dal deus ex machina del rock tedesco Conny Plank, effettueranno un graduale passaggio all’uso esclusivo di strumentazione elettronica integrando i nuovi suoni in una struttura musicale in cui l’uso della ritmica diventa prevalente al contrario delle band “cosmiche” dove lo sviluppo musicale si incentrava su lunghi tappeti di sintetizzatori.

Alla sostituzione del batterista Klaus Dinger (che va a fondare i Neu!) entra nel gruppo il percussionista Wolfgang Flür, che si dimostra interessato ai progetti di autocostruzione di nuovi strumenti elettronici che Florian Schneider e Ralph Hutter realizzano nel loro Kling Klang Studio al Mintropstraße 16 di Düsseldorf.

Ed è con Autobahn (1974) che inizia un percorso in cui i Kraftwerk definiscono il perimetro di una nuova accezione di popular music, autonoma dai modelli del rock anglosassone, in grado di influenzare molteplici stili e generi successivi, a partire da Bowie per arrivare ai ritmi dell’electro e della techno, passando per l’eurodisco di Moroder e il techno-pop anni ’80. Lo sviluppo formale si consolida con “Radioactivity” (1975).

Ma il successo di “Autobahn” ha aperto la porta a nuova direzione di popular music elettronica che si distacca nettamente dai tappetoni cosmici statici dei Tangerine Dream e quando esce “Trans Europe Express” la scena internazionale sta già rielaborando quelle idee come dimostra l’uscita praticamente contemporanea di “I Feel Love” di Giorgio Moroder.

L’idea delle pulsioni ritmiche realizzate dalle macchine sta raggiungendo le “fabbriche del groove” della dance e i Kraftwerk definiscono con “Trans Europe Express” ancora più chiaramente la propria direzione che troverà il suo massimo perfezionamento sul successivo “The Man Machine” (1978).

Il concept dei Kraftwerk non è casuale o episodico, la simbiosi uomo-macchina e il paradigma del suono tecnologico si accompagnano ad un’estetica futurista del quale il treno e la sua velocità sono un emblema come già le erano state le autostrade e la radioattività, simboli di un progresso industriale contraddittorio.

La nuova popular music dei Kraftwerk è essenziale e minimalista, propone scarne melodie mittel-europee che si incardinano a voci deformate dal vocoder capaci di pronunciare anche poche emblematiche parole su ritmi meccanici e tecnologici.
La forza del percorso dei Kraftwerk è che nulla ha a che fare con la tradizione del rock anglosassone ma è espressione musicale europea a partire dall’idea formale passando per una diversa presenza scenica arrivando ad un’iconografia completamente originale.

L’innovazione dei Kraftwerk.

Laddove il rock and roll nasceva dall’incontro della tradizione afroamericana con gli umori dell’industrializzazione fordista la musica dei Kraftwerk rappresenta un percorso culturalmente autonomo, è l’uomo europeo che si incontra con l’era della tecnologia della ricostruzione post-bellica, riprendendo un percorso interrotto dal nazismo e dalla guerra.

Non si è, quindi, innanzi a un filone degenerato del rock ma a una musica a questo alternativa che ne rifugge gli stereotipi.

Il suono elettronico dei Kraftwerk riesce ad affascinare personaggi come David Bowie che si inoltra nel suo percorso elettronico dedicando un brano da “Heroes” a Florian (V-2 Schneider) e contagia l’ondata della synthwave britannica degli ’80 come loro stessi rivendicano intitolando un brano “Technopop” (da “Electric Cafè”, 1986). E’ il rock ad appropriarsi dei suoni alieni del quartetto di Düsseldorf.

Ma la deflagrazione si ha quando “Trans Europe Express” (1977) diviene l’archetipo di tutta la dance e l’elettronica successiva con i suoi ritmi circolari sintetici, i suoi vocoder e le sue strutture minimali grazie al suo incontro con la cultura musicale afroamericana che avverrà in concreto dagli anni ’80 passando per la sua rivisitazione in chiave funk operata dal padre del djing rap Afrika Bambaataa con il suo “Planet Rock” (1982) che inaugura la stagione dell’electro.

Derrick May, uno dei padri della techno di Detroit e anche uno dei suoi migliori teorici, descrivendone la nascita, la riassume nella definizione “qualcosa come i Kraftwerk e George Clinton chiusi in un ascensore”. Sono i ritmi e i suoni meccanici dei Kraftwerk rielaborati dalla cultura del groove degli afroamericani a scatenare la grande ondata che parte dagli anni ’80 arrivando fino ad oggi.

E in quest’epoca in cui anche il pop mainstream è invaso da voci deformate elettronicamente e da ritmi digitali la loro presenza emerge ancora più evidentemente.

Alex “Amptek” Marenga.

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