Si sta parlando del 68 per il cinquantennale sui giornali, in televisione, in conferenze, spesso prosciugato dalla sua complessità tentando di ricondurlo a un mero episodio di costume o di estremismo politico.
Ma cos’è stato il 68?
E’ stato senza dubbio uno spartiacque importante, l’inizio di una fase, durata per tutto il decennio successivo, che ha avuto, pur nelle sue diversità, proporzioni globali e che ha visto nascere conflitti anche aspri di tipo sociale, politico, economico e culturale.
Citando le valutazioni contenute nel lavoro storico di Balestrini e Moroni su quella fase (L'Orda d'oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli):
”L'elemento peculiare che permette al '68 di inscriversi in quegli scorci cruciali che segnano le svolte nella storia dell'umanità è costituito dall'essere stato momento in cui vennero a coincidere e a sintetizzarsi numerose e differenti crisi sociali.
Ciò che gli conferisce qualità di spartiacque…Un fenomeno quindi da una parte planetario e dall'altro estremamente differenziato, articolato paese per paese, città per città, strato sociale per strato sociale, capace di dare voce ai localismi, ai regionalismi, alle specificità etniche, alle differenze sessuali..” (Cap.5, Op. Cit.).
Nel terzo mondo il '68 è stato il culmine di una lunga guerra di emancipazione dal colonialismo e dall'imperialismo, dall’America Latina all’Indocina, dall’Africa fino al Medio Oriente che parte all’inizio del decennio (degli anni 60) e si protrae fino alla fine dell’Apartheid.
Dietro alle quinte c’è anche lo scontro fra paesi capitalisti e i paesi a “socialismo reale” raccolti dietro l’utopia del comunismo in un solo paese dell’URSS e della Cina popolare.
La complessità di decifrazione della fase storica di cui il '68 ha fatto parte è tale che necessita non di semplici elenchi di fatti di cronaca, che raccontino dell’offensiva del Tet in Vietnam o delle lotte studentesche in Francia, ma di una complessa analisi sulla natura di alcuni fenomeni troppo spesso liquidati con termini sintetici come “guerra fredda”.
Fatto sta che le contrapposizioni interne alimentate negli U.S.A. dall'intervento nella guerra del Vietnam e in Europa dalle contraddizioni politico-sociali frutto dell’industrializzazione post-bellica generano una complessa rete di conflitti che puntano a scardinare anche il castello dei valori culturali della borghesia e che trovano nel mondo giovanile e nel proletariato urbano i loro protagonisti.
“Ma anche nella produzione filmica, musicale e teatrale vi sono segnali incisivi di cambiamento: i complessi rock americani incidono sempre più spesso canzoni contro la Guerra del Vietnam, emerge il genio teatrale del Living e di Carmelo Bene, il Piccolo Teatro manda in scena il "Marat-Sade" di Weiss e i giovani accorrono in massa a vedere "La cinese" di Godard…” (Op. Cit.)
Per la prima volta la popular music da fenomeno ludico sviluppato dal sistema dell’industria culturale saldandosi alle nuove forme della folk music e del blues assurge al ruolo di contro-cultura espressione di un mondo giovanile irrequieto e conflittuale che in Europa mette in discussione le basi stesse del potere capitalista.
“Si cercavano, come detto, forme espressive nuove adeguate al particolare momento storico e al grande "vento di trasformazione" che soffiava già dai primi anni sessanta.
D'altronde, tutto ciò corrispondeva a una precisa esigenza di determinati strati della popolazione giovanile e non solo di quella, visto che un certo tipo di ricerca esistenziale e di nuove forme di aggregazione sociale non poteva riguardare il singolo e il gruppo a partire dal solo dato anagrafico. L'esigenza di un nuovo linguaggio, di nuove forme di comunicazione e di confronto con quanto accadeva altrove, veniva a consolidarsi sempre più nel panorama della musica beat che, soprattutto negli Stati Uniti e nell'Europa del Nord, aveva assunto valore di linguaggio "privilegiato" fra gli "irregolari" e i contestatori del sistema…Il beat contribuì a fondare il modello di una nuova microsocietà, di una società parallela a quella istituzionalizzata, avente un assetto sociale di tipo
comunitario fondato su valori di reciproca solidarietà ed egualitarismo, dove "l'abbandono" del vecchio mondo e dei suoi falsi valori rappresentava una condizione indispensabile per costruire una nuova civiltà e nuove dinamiche di scambio..” (Op. Cit.)
I dischi del 1968 non sono quindi solo contenitori di momenti ricreativi che la gioventù spensierata di quell'anno ascoltava nei momenti ludici e che indicheremo soltanto a fini nostalgici ma punti di riferimento nei quali si riconoscevano contenuti culturali condivisi.
Un ruolo che la popular music e la produzione discografica dei decenni successivi, dopo l’ondata del punk, non riuscirà più a ricoprire, ormai sempre più inquadrata dentro ai meccanismi del music-business.
Abbiamo indicato dischi eterogenei in quanto la multiformità delle figure sociali coinvolte nel '68 nel mondo occidentale impone una raffigurazione trasversale ai generi musicali e ai gruppi etnico-sociali. Paradossalmente, nell'anno più rappresentativo della contestazione giovanile, Bob Dylan, che di quei movimenti era stato spesso indicato come artista emblematico, non pubblicò alcun disco, come del resto non partecipò all’evento manifesto di quegli anni, Woodstock.
1. The Beatles: White Album
Il White Album è l’album della maturità dei Beatles. Dato lo spazio a disposizione nel formato del doppio album a 33 giri vi sono contenuti brani di natura eterogenea che inaugurano un nuova fase del percorso stilistico del gruppo dove le quattro personalità si propongono individualmente come solisti.
McCartney sforna alcuni piccoli gioielli come la magnifica ballad “Blackbird”, il seminale hard rock di “Helter Skelter”, lo scanzonato reggae di “Obladì Obladà”, il rock and roll di “Back in USSR” e “Birthday” forse ultima collaborazione con Lennon. Quest’ultimo sforna a sua volta brani che spaziano dal blues di “Yer Blues”, alla iper-sperimentale “Revolution n.9”, alla ballad psichedelica “Dear Prudence” per non parlare delle ottime ”Sexy Sadie” e “Happiness is a Warm Gun”. La collaborazione di George con Eric Clapton sforna l’ottima “While My Guitar Gently Wheeps”. Provocatoria la copertina, per le abitudini di mercato dell’epoca, assolutamente bianca. Nello stesso anno il quartetto sfodera altri brani importanti in 45 giri come “Hey Jude”, la versione singola di “Revolution” e “Lady Madonna”.
2. Jimi Hendrix: Electric Ladyland
Hendrix e lo studio di registrazione visto come strumento di sviluppo della composizione e dell’improvvisazione. E’ il disco forse più maturo di Hendrix, anche qui la copertina frutto dei tempi si becca una bella censura per la foto provocatoria.
Sovraincisioni e manipolazioni del suono caratterizzano il lavoro che contiene alcuni dei brani emblematici del chitarrista statunitense e di tutto il rock degli anni 60.
Oltre a Mitch Mitchell e Noel Redding vi sono ospiti d’eccezione come Steve Winwood, Jack Casady, Al Kooper, Buddy Miles, Chris Wood.
Un’opera insuperata che contiene alcuni dei gioielli di casa Hendrix dalla storica versione del brano di Dylan “All Along the Watchtower” fino alla paradigmatica “Voodoo Child”. Un vocabolario della nuova chitarra rock.
3. The Doors: Waiting for The Sun
Il disco di maggior successo commerciale dei Doors, una band centrale della scena rock degli anni 60.
Spesso identificata con la figura carismatica e di rottura del cantante Jim Morrison in realtà sono fondamentali per la definizione del suono e del repertorio dei Doors il tastierista Ray Manzarek e il chitarrista Robby Krieger.
The Doors restano un'icona della volontà di rottura dei costumi culturali della borghesia giovanile occidentale.
4. Iron Butterfly: In-A-Gadda-Da-Vida
“In-A-Gadda-Da-Vida” è una delle icone della psichedelia di fine anni 60. Il brano, che dura 17 minuti, si basa su un riff che ricorda vagamente il movimento di un precedente brano dei Cream (Sunshine of Your Love). Ma il successo della musica degli Iron Butterfly verte sul percussionismo tribale, i lunghi assoli ipnotici e sui timbri evanescenti che vedono l’impiego per la prima volta dell’effetto flanger. Un disco manifesto che evoca i grandi raduni freak dell’era hippie.
5. Simon and Garfunkel: The Graduate
Colonna sonora di un film dal successo straordinario interpretato da Dustin Hoffman diretto da Mike Nichols che nel 1968 vince l’oscar e prende sette nomination.
Girato nel 1967 è considerato un film di culto ed è il ritratto di una borghesia americana in cui esplode l’incomunicabilità generazionale. La colonna sonora contiene quattro canzoni di Paul Simon: “The Sound of Silence”, l’inedita “Mrs. Robinson”, oltre a “Scarborough Fair” e “April Come She Will”. Oltre alla suggestiva commistione fra folk americano e beat alla Everly Brothers, Paul Simon si riconferma poeta sognante rappresentativo della nuova cultura giovanile e abile penna autoriale della ballata rock americana.
6. Otis Redding: The Dock of the Bay
Album postumo di uno dei più grandi autori della musica afroamericana che contiene uno dei suoi brani più celebri. Scomparso tragicamente a 26 anni nel 1967 in un incidente aereo Otis Redding è uno dei massimi esponenti della black music, la sua musica ebbe un impatto significativo anche sul sound del rock, si annoverano versioni dei suoi brani eseguite da alcune delle maggiori formazioni dell’epoca come i Rolling Stones. L’album contiene una serie di singoli e lati B fra i quali il capolavoro “(Sittin’ on ) The Dock of the Bay”.
Pur trattandosi di una delle tante operazioni discografiche avvenute post-mortem rappresenta una delle migliori raccolte di brani di questo autore ancora oggi celebratissimo emblematico della cultura afro-americana degli anni 60.
7. The Rolling Stones: Beggars Banquet
E’ l’album di “Symphaty for the Devil” le cui sessioni di registrazione sono immortalate da Jean-Luc Godard nel suo “One Plus One/Sympathy for the Devil” dove il rock si interseca con il nuovo cinema autoriale.
Il disco segna una svolta nella musica del gruppo che abbandona le atmosfere psichedeliche precedenti per tornare a una dimensione vicina alla musica folk americana e al blues.
Il disco segna il definitivo disinteresse di Brian Jones per il lavoro del gruppo ma il livello qualitativo resta comunque altissimo.
Il disco racchiude altri evergreen degli Stones come la ballad “No Expectations” e “Street Fighting Man”.
8. Frank Zappa: We're Only in It for the Money
Terzo album di Zappa è una parodia della cultura hippie e psichedelica in quegli anni imperante nel mercato musicale. Mescola diversi stili musicali in una operazione di satira di costume che costituisce un prodotto unico per quegli anni per la sua natura frammentaria e imprevedibile. Un ritratto alternativo e che rappresenta un anticipazione del complesso percorso di Zappa.
Il sarcasmo dissacrante ispirato dalle frequentazioni con Lenny Bruce, voci accelerate, frammenti di telefonate, spezzoni strumentali, contaminazioni che vanno dal surf al free jazz, passando per il blues-rock ed Egdar Varese, prefigurano un nuovo modo di utilizzare il lessico del rock, come linguaggio per una rappresentazione sociale della società americana mettendone in luce i peggiori difetti.
9. The Nice: Ars Longa Vita Brevis
E’ uno dei lavori che anticipa la successiva esplosione del rock-progressive e in cui Keith Emerson impone l’organo Hammond come strumento icona del rock, capace di ricoprire un ruolo analogo a quello della chitarra elettrica.
Il disco è realizzato in trio in un combo che anticipa quello tipico degli Emerson, Lake &Palmer.
Il gruppo, pur mantenendo le influenze di beat psichedelico, utilizza le contaminazioni tipiche del periodo progressive, con rielaborazioni di composizioni classiche, impiego dell’orchestra e si lascia andare a lunghe sezioni strumentali complesse.
10. Johnny Cash: At Folsom Prison
E’ stato inciso il 13 gennaio del 1968 nel carcere di massima sicurezza di Folsom in California ed è il 26 esimo album di una delle stelle del country Johnny Cash. Sarà seguito l’anno successivo dal “Live at San Quentin” registrato live il 24 febbraio 1969 all'interno del carcere di massima sicurezza di San Quintino,
Il cantautore intendeva omaggiare i detenuti ai quali aveva dedicato un brano nel 1956 “Folsom Prison Blues” eseguendo anche un brano scritto da uno di loro, Glen Sherley.
L’operazione, a cui la Columbia tentò di opporsi, ebbe un successo straordinario vendendo oltre 3 milioni di copie nei soli USA e dimostrò la forte rappresentatività della musica del cantautore della cultura del proletariato bianco.
Ma cos’è stato il 68?
E’ stato senza dubbio uno spartiacque importante, l’inizio di una fase, durata per tutto il decennio successivo, che ha avuto, pur nelle sue diversità, proporzioni globali e che ha visto nascere conflitti anche aspri di tipo sociale, politico, economico e culturale.
Citando le valutazioni contenute nel lavoro storico di Balestrini e Moroni su quella fase (L'Orda d'oro. 1968-1977: la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli):
”L'elemento peculiare che permette al '68 di inscriversi in quegli scorci cruciali che segnano le svolte nella storia dell'umanità è costituito dall'essere stato momento in cui vennero a coincidere e a sintetizzarsi numerose e differenti crisi sociali.
Ciò che gli conferisce qualità di spartiacque…Un fenomeno quindi da una parte planetario e dall'altro estremamente differenziato, articolato paese per paese, città per città, strato sociale per strato sociale, capace di dare voce ai localismi, ai regionalismi, alle specificità etniche, alle differenze sessuali..” (Cap.5, Op. Cit.).
Nel terzo mondo il '68 è stato il culmine di una lunga guerra di emancipazione dal colonialismo e dall'imperialismo, dall’America Latina all’Indocina, dall’Africa fino al Medio Oriente che parte all’inizio del decennio (degli anni 60) e si protrae fino alla fine dell’Apartheid.
Dietro alle quinte c’è anche lo scontro fra paesi capitalisti e i paesi a “socialismo reale” raccolti dietro l’utopia del comunismo in un solo paese dell’URSS e della Cina popolare.
La complessità di decifrazione della fase storica di cui il '68 ha fatto parte è tale che necessita non di semplici elenchi di fatti di cronaca, che raccontino dell’offensiva del Tet in Vietnam o delle lotte studentesche in Francia, ma di una complessa analisi sulla natura di alcuni fenomeni troppo spesso liquidati con termini sintetici come “guerra fredda”.
Fatto sta che le contrapposizioni interne alimentate negli U.S.A. dall'intervento nella guerra del Vietnam e in Europa dalle contraddizioni politico-sociali frutto dell’industrializzazione post-bellica generano una complessa rete di conflitti che puntano a scardinare anche il castello dei valori culturali della borghesia e che trovano nel mondo giovanile e nel proletariato urbano i loro protagonisti.
“Ma anche nella produzione filmica, musicale e teatrale vi sono segnali incisivi di cambiamento: i complessi rock americani incidono sempre più spesso canzoni contro la Guerra del Vietnam, emerge il genio teatrale del Living e di Carmelo Bene, il Piccolo Teatro manda in scena il "Marat-Sade" di Weiss e i giovani accorrono in massa a vedere "La cinese" di Godard…” (Op. Cit.)
Per la prima volta la popular music da fenomeno ludico sviluppato dal sistema dell’industria culturale saldandosi alle nuove forme della folk music e del blues assurge al ruolo di contro-cultura espressione di un mondo giovanile irrequieto e conflittuale che in Europa mette in discussione le basi stesse del potere capitalista.
“Si cercavano, come detto, forme espressive nuove adeguate al particolare momento storico e al grande "vento di trasformazione" che soffiava già dai primi anni sessanta.
D'altronde, tutto ciò corrispondeva a una precisa esigenza di determinati strati della popolazione giovanile e non solo di quella, visto che un certo tipo di ricerca esistenziale e di nuove forme di aggregazione sociale non poteva riguardare il singolo e il gruppo a partire dal solo dato anagrafico. L'esigenza di un nuovo linguaggio, di nuove forme di comunicazione e di confronto con quanto accadeva altrove, veniva a consolidarsi sempre più nel panorama della musica beat che, soprattutto negli Stati Uniti e nell'Europa del Nord, aveva assunto valore di linguaggio "privilegiato" fra gli "irregolari" e i contestatori del sistema…Il beat contribuì a fondare il modello di una nuova microsocietà, di una società parallela a quella istituzionalizzata, avente un assetto sociale di tipo
comunitario fondato su valori di reciproca solidarietà ed egualitarismo, dove "l'abbandono" del vecchio mondo e dei suoi falsi valori rappresentava una condizione indispensabile per costruire una nuova civiltà e nuove dinamiche di scambio..” (Op. Cit.)
I dischi del 1968 non sono quindi solo contenitori di momenti ricreativi che la gioventù spensierata di quell'anno ascoltava nei momenti ludici e che indicheremo soltanto a fini nostalgici ma punti di riferimento nei quali si riconoscevano contenuti culturali condivisi.
Un ruolo che la popular music e la produzione discografica dei decenni successivi, dopo l’ondata del punk, non riuscirà più a ricoprire, ormai sempre più inquadrata dentro ai meccanismi del music-business.
Abbiamo indicato dischi eterogenei in quanto la multiformità delle figure sociali coinvolte nel '68 nel mondo occidentale impone una raffigurazione trasversale ai generi musicali e ai gruppi etnico-sociali. Paradossalmente, nell'anno più rappresentativo della contestazione giovanile, Bob Dylan, che di quei movimenti era stato spesso indicato come artista emblematico, non pubblicò alcun disco, come del resto non partecipò all’evento manifesto di quegli anni, Woodstock.
1. The Beatles: White Album
Il White Album è l’album della maturità dei Beatles. Dato lo spazio a disposizione nel formato del doppio album a 33 giri vi sono contenuti brani di natura eterogenea che inaugurano un nuova fase del percorso stilistico del gruppo dove le quattro personalità si propongono individualmente come solisti.
McCartney sforna alcuni piccoli gioielli come la magnifica ballad “Blackbird”, il seminale hard rock di “Helter Skelter”, lo scanzonato reggae di “Obladì Obladà”, il rock and roll di “Back in USSR” e “Birthday” forse ultima collaborazione con Lennon. Quest’ultimo sforna a sua volta brani che spaziano dal blues di “Yer Blues”, alla iper-sperimentale “Revolution n.9”, alla ballad psichedelica “Dear Prudence” per non parlare delle ottime ”Sexy Sadie” e “Happiness is a Warm Gun”. La collaborazione di George con Eric Clapton sforna l’ottima “While My Guitar Gently Wheeps”. Provocatoria la copertina, per le abitudini di mercato dell’epoca, assolutamente bianca. Nello stesso anno il quartetto sfodera altri brani importanti in 45 giri come “Hey Jude”, la versione singola di “Revolution” e “Lady Madonna”.
2. Jimi Hendrix: Electric Ladyland
Hendrix e lo studio di registrazione visto come strumento di sviluppo della composizione e dell’improvvisazione. E’ il disco forse più maturo di Hendrix, anche qui la copertina frutto dei tempi si becca una bella censura per la foto provocatoria.
Sovraincisioni e manipolazioni del suono caratterizzano il lavoro che contiene alcuni dei brani emblematici del chitarrista statunitense e di tutto il rock degli anni 60.
Oltre a Mitch Mitchell e Noel Redding vi sono ospiti d’eccezione come Steve Winwood, Jack Casady, Al Kooper, Buddy Miles, Chris Wood.
Un’opera insuperata che contiene alcuni dei gioielli di casa Hendrix dalla storica versione del brano di Dylan “All Along the Watchtower” fino alla paradigmatica “Voodoo Child”. Un vocabolario della nuova chitarra rock.
3. The Doors: Waiting for The Sun
Il disco di maggior successo commerciale dei Doors, una band centrale della scena rock degli anni 60.
Spesso identificata con la figura carismatica e di rottura del cantante Jim Morrison in realtà sono fondamentali per la definizione del suono e del repertorio dei Doors il tastierista Ray Manzarek e il chitarrista Robby Krieger.
The Doors restano un'icona della volontà di rottura dei costumi culturali della borghesia giovanile occidentale.
4. Iron Butterfly: In-A-Gadda-Da-Vida
“In-A-Gadda-Da-Vida” è una delle icone della psichedelia di fine anni 60. Il brano, che dura 17 minuti, si basa su un riff che ricorda vagamente il movimento di un precedente brano dei Cream (Sunshine of Your Love). Ma il successo della musica degli Iron Butterfly verte sul percussionismo tribale, i lunghi assoli ipnotici e sui timbri evanescenti che vedono l’impiego per la prima volta dell’effetto flanger. Un disco manifesto che evoca i grandi raduni freak dell’era hippie.
5. Simon and Garfunkel: The Graduate
Colonna sonora di un film dal successo straordinario interpretato da Dustin Hoffman diretto da Mike Nichols che nel 1968 vince l’oscar e prende sette nomination.
Girato nel 1967 è considerato un film di culto ed è il ritratto di una borghesia americana in cui esplode l’incomunicabilità generazionale. La colonna sonora contiene quattro canzoni di Paul Simon: “The Sound of Silence”, l’inedita “Mrs. Robinson”, oltre a “Scarborough Fair” e “April Come She Will”. Oltre alla suggestiva commistione fra folk americano e beat alla Everly Brothers, Paul Simon si riconferma poeta sognante rappresentativo della nuova cultura giovanile e abile penna autoriale della ballata rock americana.
6. Otis Redding: The Dock of the Bay
Album postumo di uno dei più grandi autori della musica afroamericana che contiene uno dei suoi brani più celebri. Scomparso tragicamente a 26 anni nel 1967 in un incidente aereo Otis Redding è uno dei massimi esponenti della black music, la sua musica ebbe un impatto significativo anche sul sound del rock, si annoverano versioni dei suoi brani eseguite da alcune delle maggiori formazioni dell’epoca come i Rolling Stones. L’album contiene una serie di singoli e lati B fra i quali il capolavoro “(Sittin’ on ) The Dock of the Bay”.
Pur trattandosi di una delle tante operazioni discografiche avvenute post-mortem rappresenta una delle migliori raccolte di brani di questo autore ancora oggi celebratissimo emblematico della cultura afro-americana degli anni 60.
7. The Rolling Stones: Beggars Banquet
E’ l’album di “Symphaty for the Devil” le cui sessioni di registrazione sono immortalate da Jean-Luc Godard nel suo “One Plus One/Sympathy for the Devil” dove il rock si interseca con il nuovo cinema autoriale.
Il disco segna una svolta nella musica del gruppo che abbandona le atmosfere psichedeliche precedenti per tornare a una dimensione vicina alla musica folk americana e al blues.
Il disco segna il definitivo disinteresse di Brian Jones per il lavoro del gruppo ma il livello qualitativo resta comunque altissimo.
Il disco racchiude altri evergreen degli Stones come la ballad “No Expectations” e “Street Fighting Man”.
8. Frank Zappa: We're Only in It for the Money
Terzo album di Zappa è una parodia della cultura hippie e psichedelica in quegli anni imperante nel mercato musicale. Mescola diversi stili musicali in una operazione di satira di costume che costituisce un prodotto unico per quegli anni per la sua natura frammentaria e imprevedibile. Un ritratto alternativo e che rappresenta un anticipazione del complesso percorso di Zappa.
Il sarcasmo dissacrante ispirato dalle frequentazioni con Lenny Bruce, voci accelerate, frammenti di telefonate, spezzoni strumentali, contaminazioni che vanno dal surf al free jazz, passando per il blues-rock ed Egdar Varese, prefigurano un nuovo modo di utilizzare il lessico del rock, come linguaggio per una rappresentazione sociale della società americana mettendone in luce i peggiori difetti.
9. The Nice: Ars Longa Vita Brevis
E’ uno dei lavori che anticipa la successiva esplosione del rock-progressive e in cui Keith Emerson impone l’organo Hammond come strumento icona del rock, capace di ricoprire un ruolo analogo a quello della chitarra elettrica.
Il disco è realizzato in trio in un combo che anticipa quello tipico degli Emerson, Lake &Palmer.
Il gruppo, pur mantenendo le influenze di beat psichedelico, utilizza le contaminazioni tipiche del periodo progressive, con rielaborazioni di composizioni classiche, impiego dell’orchestra e si lascia andare a lunghe sezioni strumentali complesse.
10. Johnny Cash: At Folsom Prison
E’ stato inciso il 13 gennaio del 1968 nel carcere di massima sicurezza di Folsom in California ed è il 26 esimo album di una delle stelle del country Johnny Cash. Sarà seguito l’anno successivo dal “Live at San Quentin” registrato live il 24 febbraio 1969 all'interno del carcere di massima sicurezza di San Quintino,
Il cantautore intendeva omaggiare i detenuti ai quali aveva dedicato un brano nel 1956 “Folsom Prison Blues” eseguendo anche un brano scritto da uno di loro, Glen Sherley.
L’operazione, a cui la Columbia tentò di opporsi, ebbe un successo straordinario vendendo oltre 3 milioni di copie nei soli USA e dimostrò la forte rappresentatività della musica del cantautore della cultura del proletariato bianco.
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