E' davvero complesso parlare di un evento come il "The Wall" di Roger Waters senza confluire nel coro unanime dei consensi.
Per quanto "The Wall" possa suscitare la disapprovazione dei puristi dei Floyd barrettiani o gli affezionati alla loro vena più prog c'é un dato incontrovertibile che prescinde gli stili musicali: i Floyd di Waters, quelli che vanno da Dark Side a The Wall, sono autori di un immaginario condiviso a livello trans-generazionale fatto di suoni, icone, immagini, simboli, percorsi narrativi esattamente come Star Wars o altri universi della fantasia condivisa contemporanea.
Fenomenologie come queste travalicano il mero giudizio di merito sul contenuto strutturale della musica, ma rientrano in una visione culturale molto più vasta che rende il materiale di base ideato dai Pink Floyd materia sulla quale milioni di altre persone hanno permeato la propria creatività.
I Pink Floyd hanno ideato un universo mediatico che dagli anni 70 ad oggi é divenuto un vero e proprio ecosistema di stimoli per un pubblico che si confronta sia passivamente (come pubblico fruitore) che attivamente (come produttori di musica propria o rielaborata) con la loro proposta. Milioni di persone condividono quei simboli, quelle immagini, quei suoni come elementi della propria vita e nei casi di fruitori attivi, ispirano modi di suonare, di scrivere la musica, di concepire racconti, di ideare immagini.
Come non restare abbagliati dalla scena di "Children of Men" di Alfonso Cuarón (2006) quando Clive Owen entra nel Battersea Power Station, divenuto ultimo rifugio delle opere d'arte, dalla finestra del quale si vede un maiale gonfiabile volante.
Avviene quindi una vera appropriazione da parte del pubblico del materiale floydiano, come in passato avveniva, prima dell'invenzione del copyright, con le canzoni popolari o le storie tramandate per via orale.
Qualcuno obietterá che possa semplicemente trattarsi del mero effetto della promozione scatenata attorno a questi dischi dall'industria discografica.
Senz'altro la pubblicità, come del resto per Star Wars, Harry Potter, Matrix o Star Trek, ne ha facilitato la diffusione, ma tutti i prodotti mediatici sono oggetto di promozione, ma i casi di universalizzazione di una produzione creativa attraverso le generazioni e le nazioni sono davvero rari.
Si potrebbe anche obiettare che dietro alla spinta creativa di Waters non ci sia stato l'idealismo e la visionarietà di Syd Barrett, ma l'intento di affermarsi nello star system del bassista che è un intento condiviso dalla maggior parte delle rockstar del resto.
Il dato reale è che comunque, a prescindere dalle motivazioni, si é trattato di una spinta creativa in grado di proporre idee originali che hanno anticipato i tempi e che hanno colto molte delle inquietudini della società tanto da restare fortemente radicate nei tessuti culturali della civiltà occidentale.
Ma veniamo allo specifico.
Nel 1972 i Floyd avevano deciso a tavolino di realizzare un concept demandando a Roger Waters il plot narrativo del disco.
Il bassista scrisse quindi tutti i testi secondo un unico tema.
Il successo divenne epocale: "The dark side of the moon", anche i lavori successivi ebbero un incipit tematico unico progettato da Waters.
"The Wall" é ideato da Roger contemporaneamente a "the Pros and Cons of Hitchhiking" successivamente alla realizzazione di "Animals".
I Pink Floyd sono in una fase di stasi, David Gilmour e il produttore Bob Ezrin ascoltano i demo dei due lavori e scelgono di lavorare su "The Wall".
Ma il clima fra i componenti del gruppo non é buono durante la registrazione del disco Richard Wright abbandona gli studi.
È la fase di incertezza che esploderà poi in "the Final Cut" con la dissoluzione della band.
All'uscita dell'album seguiranno delle messe in scena dello show alcune delle quali immortalate in vari bootleg e una invece proposta dalla Emi nel doppio CD "Is There Anybody Out There".
Nel 1983 Alan Parker realizzerà la trasposizione cinematografica del concept interpretata da Bob Geldof.
Roger Waters realizzerà una messa in scena ulteriore, anni dopo, d'innanzi al muro di Berlino poco dopo la sua caduta il 21 luglio del 1990.
I Pink Floyd sono già a partire dagli anni di "Dark Side" noti per i light show e le video proiezioni originali ma con "The Wall", che si presenta come una vera e propria opera-rock, raggiungono una teatralità della messa in scena senza precedenti.
Il rock, già dagli anni 60, ha recuperato una consuetudine andata persa nella melodramma classico, il diretto coinvolgimento del musicista nella rappresentazione che esce dalla buca dell'orchestra e dall'immobilità esecutiva e diviene elemento centrale dell'azione scenica. Genesis, Kiss, Pink Floyd sono tra i gruppi che maggiormente sfrutttano il palco come spazio scenico in grado di ospitare vari elementi mediatici già dai primi anni 70.
Il palcoscenico di "The Wall" con il suo muro di 150 metri di lunghezza per 6/7 di altezza é spazio scenico nel quale avviene la rappresentazione del tessuto narrativo di "The Wall".
Un terzo di uno stadio e in parte anche lo spazio occupato dal pubblico sono aree di messa in scena di uno spettacolo che è superficiale identificare come musicale.
"The Wall"é un melodramma post moderno in cui vengono impiegati molteplici strumenti mediatici che impiegano diversi linguaggi simultaneamente.
Batterie di videoproiettori mappati e sincronizzati costruiscono scenografie tridimensionali, immettono immagini prese in diretta dell'azione scenica e le ricollocano rielaborate, proiettano segmenti animati dalla videografia storica di "The Wall" (le mitiche animazioni), dipingono virtualmente simboli ed elementi della narrazione.
Non si tratta quindi di una esecuzione del disco con qualche video ed effetti suggestivi ma di una articolata tessitura trans-mediale che rende la messa in scena di "The Wall" una complessa sinergia fra diversi lessici.
"The Wall" di Roger Waters è un opera multimediale che impiega tutte le possibilità narrative che i diversi linguaggi mettono oggi a disposizione.
Si tratta a tutti gli effetti di sfruttare appieno le possibilità espressive di uno spazio scenico utilizzando le capacità tecnologiche del XXI secolo, una nuova frontiera del melodramma.
In questo secondo decennio di inizio secolo un opera concepita nel 1979 trova completa trasposizione teatrale attraverso i mezzi tecnologici contemporanei.
"The Wall" è quindi lo spettacolo assoluto, è la possibilità di costruire un percorso narrativo attraverso la coesistenza di linguaggi differenti e coerenti, è una delle reali concretizzazioni del multimediale. Il plot messo in scena da Waters è noto, è introiettato nella coscienza collettiva attraverso i versi delle canzoni, nei concetti che già i fotogrammi del film di Parker avevano condiviso.
I temi di Waters li conosciamo, sono sottolineati anche da un intervento politico contro il terrorismo di stato che riporta il messaggio dello show nell'attualità del presente.
Restano l'impeccabilità dell'esecuzione della partitura, con qualche piccolo ri-arrangiamento, la nostalgia di veder riproporre la clonazione di David Gilmour, ma quello che travolge lo spettatore è la consapevolezza di essere incapace di dare per scontato ogni istante dello show.
"The Wall" è il nuove ordine multimediale del teatro contemporaneo, è il massimo picco dell'espressione raggiunto da uno spettacolo dal vivo, è qualcosa da non perdere.....
Per quanto "The Wall" possa suscitare la disapprovazione dei puristi dei Floyd barrettiani o gli affezionati alla loro vena più prog c'é un dato incontrovertibile che prescinde gli stili musicali: i Floyd di Waters, quelli che vanno da Dark Side a The Wall, sono autori di un immaginario condiviso a livello trans-generazionale fatto di suoni, icone, immagini, simboli, percorsi narrativi esattamente come Star Wars o altri universi della fantasia condivisa contemporanea.
Fenomenologie come queste travalicano il mero giudizio di merito sul contenuto strutturale della musica, ma rientrano in una visione culturale molto più vasta che rende il materiale di base ideato dai Pink Floyd materia sulla quale milioni di altre persone hanno permeato la propria creatività.
I Pink Floyd hanno ideato un universo mediatico che dagli anni 70 ad oggi é divenuto un vero e proprio ecosistema di stimoli per un pubblico che si confronta sia passivamente (come pubblico fruitore) che attivamente (come produttori di musica propria o rielaborata) con la loro proposta. Milioni di persone condividono quei simboli, quelle immagini, quei suoni come elementi della propria vita e nei casi di fruitori attivi, ispirano modi di suonare, di scrivere la musica, di concepire racconti, di ideare immagini.
Come non restare abbagliati dalla scena di "Children of Men" di Alfonso Cuarón (2006) quando Clive Owen entra nel Battersea Power Station, divenuto ultimo rifugio delle opere d'arte, dalla finestra del quale si vede un maiale gonfiabile volante.
Avviene quindi una vera appropriazione da parte del pubblico del materiale floydiano, come in passato avveniva, prima dell'invenzione del copyright, con le canzoni popolari o le storie tramandate per via orale.
Qualcuno obietterá che possa semplicemente trattarsi del mero effetto della promozione scatenata attorno a questi dischi dall'industria discografica.
Senz'altro la pubblicità, come del resto per Star Wars, Harry Potter, Matrix o Star Trek, ne ha facilitato la diffusione, ma tutti i prodotti mediatici sono oggetto di promozione, ma i casi di universalizzazione di una produzione creativa attraverso le generazioni e le nazioni sono davvero rari.
Si potrebbe anche obiettare che dietro alla spinta creativa di Waters non ci sia stato l'idealismo e la visionarietà di Syd Barrett, ma l'intento di affermarsi nello star system del bassista che è un intento condiviso dalla maggior parte delle rockstar del resto.
Il dato reale è che comunque, a prescindere dalle motivazioni, si é trattato di una spinta creativa in grado di proporre idee originali che hanno anticipato i tempi e che hanno colto molte delle inquietudini della società tanto da restare fortemente radicate nei tessuti culturali della civiltà occidentale.
Ma veniamo allo specifico.
Nel 1972 i Floyd avevano deciso a tavolino di realizzare un concept demandando a Roger Waters il plot narrativo del disco.
Il bassista scrisse quindi tutti i testi secondo un unico tema.
Il successo divenne epocale: "The dark side of the moon", anche i lavori successivi ebbero un incipit tematico unico progettato da Waters.
"The Wall" é ideato da Roger contemporaneamente a "the Pros and Cons of Hitchhiking" successivamente alla realizzazione di "Animals".
I Pink Floyd sono in una fase di stasi, David Gilmour e il produttore Bob Ezrin ascoltano i demo dei due lavori e scelgono di lavorare su "The Wall".
Ma il clima fra i componenti del gruppo non é buono durante la registrazione del disco Richard Wright abbandona gli studi.
È la fase di incertezza che esploderà poi in "the Final Cut" con la dissoluzione della band.
All'uscita dell'album seguiranno delle messe in scena dello show alcune delle quali immortalate in vari bootleg e una invece proposta dalla Emi nel doppio CD "Is There Anybody Out There".
Nel 1983 Alan Parker realizzerà la trasposizione cinematografica del concept interpretata da Bob Geldof.
Roger Waters realizzerà una messa in scena ulteriore, anni dopo, d'innanzi al muro di Berlino poco dopo la sua caduta il 21 luglio del 1990.
I Pink Floyd sono già a partire dagli anni di "Dark Side" noti per i light show e le video proiezioni originali ma con "The Wall", che si presenta come una vera e propria opera-rock, raggiungono una teatralità della messa in scena senza precedenti.
Il rock, già dagli anni 60, ha recuperato una consuetudine andata persa nella melodramma classico, il diretto coinvolgimento del musicista nella rappresentazione che esce dalla buca dell'orchestra e dall'immobilità esecutiva e diviene elemento centrale dell'azione scenica. Genesis, Kiss, Pink Floyd sono tra i gruppi che maggiormente sfrutttano il palco come spazio scenico in grado di ospitare vari elementi mediatici già dai primi anni 70.
Il palcoscenico di "The Wall" con il suo muro di 150 metri di lunghezza per 6/7 di altezza é spazio scenico nel quale avviene la rappresentazione del tessuto narrativo di "The Wall".
Un terzo di uno stadio e in parte anche lo spazio occupato dal pubblico sono aree di messa in scena di uno spettacolo che è superficiale identificare come musicale.
"The Wall"é un melodramma post moderno in cui vengono impiegati molteplici strumenti mediatici che impiegano diversi linguaggi simultaneamente.
Batterie di videoproiettori mappati e sincronizzati costruiscono scenografie tridimensionali, immettono immagini prese in diretta dell'azione scenica e le ricollocano rielaborate, proiettano segmenti animati dalla videografia storica di "The Wall" (le mitiche animazioni), dipingono virtualmente simboli ed elementi della narrazione.
Non si tratta quindi di una esecuzione del disco con qualche video ed effetti suggestivi ma di una articolata tessitura trans-mediale che rende la messa in scena di "The Wall" una complessa sinergia fra diversi lessici.
"The Wall" di Roger Waters è un opera multimediale che impiega tutte le possibilità narrative che i diversi linguaggi mettono oggi a disposizione.
Si tratta a tutti gli effetti di sfruttare appieno le possibilità espressive di uno spazio scenico utilizzando le capacità tecnologiche del XXI secolo, una nuova frontiera del melodramma.
In questo secondo decennio di inizio secolo un opera concepita nel 1979 trova completa trasposizione teatrale attraverso i mezzi tecnologici contemporanei.
"The Wall" è quindi lo spettacolo assoluto, è la possibilità di costruire un percorso narrativo attraverso la coesistenza di linguaggi differenti e coerenti, è una delle reali concretizzazioni del multimediale. Il plot messo in scena da Waters è noto, è introiettato nella coscienza collettiva attraverso i versi delle canzoni, nei concetti che già i fotogrammi del film di Parker avevano condiviso.
I temi di Waters li conosciamo, sono sottolineati anche da un intervento politico contro il terrorismo di stato che riporta il messaggio dello show nell'attualità del presente.
Restano l'impeccabilità dell'esecuzione della partitura, con qualche piccolo ri-arrangiamento, la nostalgia di veder riproporre la clonazione di David Gilmour, ma quello che travolge lo spettatore è la consapevolezza di essere incapace di dare per scontato ogni istante dello show.
"The Wall" è il nuove ordine multimediale del teatro contemporaneo, è il massimo picco dell'espressione raggiunto da uno spettacolo dal vivo, è qualcosa da non perdere.....
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