Ho rinvenuto nei miei archivi questa interessante intervista che realizzai nel 2002 ad Andrea Benedetti per il bollettino on line della trasmissione di musica elettronica THE ZONE.
Contiene un interessante ricostruzione della scena di Roma degli anni 90.
Molti di coloro che si avvicinano oggi alla musica elettronica ne ignorano completamente la storia e gli stili, e purtroppo si è persa anche la memoria di quello che è stata la scena romana che ha dato vita a questo fenomeno anche in Italia. Questo ripescaggio di un'intervista cosi antica, permette di apprenderne alcuni aspetti.
Cos’è per te la techno?
Significa far filtrare le proprie emozioni e le proprie esperienze, personali e culturali, tramite
degli strumenti elettronici,
cercando di creare una musica che sia la massima espressione del rapporto uomo/macchina.
Quale rapporto c’è fra te e la “macchina”?
Credo che la “macchina” in senso lato debba consentirci di essere migliori di quello che siamo e
di farci fare cose che da soli non potremmo fare. Quindi per me la “macchina” è un estensione dell’uomo.
Come tutti ho dei rapporti migliori con alcune macchine rispetto ad altre.
A volte non mi rispecchio con le strutture di alcune macchine (che poi sono lo specchio delle persone che le hanno ideate) perché le trovo troppo contorte. Secondo me una macchina,
e non solo musicale, deve essere semplice nell’uso e nell’interfaccia con l’utente.
Al contrario si rischia di far passare come normale il concetto che uno strumento tecnologico debba essere necessariamente complesso per essere avanzato, che è come dire che l’intelligenza d una persona si misura dalla complessità dell’esposizione dei suoi concetti e non dal loro contenuto.
Quale differenza ravvedi fra il modo “tradizionale” di fare musica e l’approccio elettronico?
Credo che la differenza fondamentale stia nel fatto che la musica composta con strumenti elettronici
(o con software) permette di creare musica da soli. Da una parte è un bene perché ti permette
di non scendere a compromessi con nessuno, dall’altra è una cosa negativa perché chiude
dei rapporti potenzialmente costruttivi con altre esperienze esterne a te.
Secondo me ancora non ci sono gli strumenti elettronici adatti per comporre musica elettronica in gruppo,
però credo che possa essere molto interessante. Esistono già delle band formate da soli laptop user,
ma credo che sia una situazione più adatta alla musica improvvisata o d’avanguardia.
Quando entrano in campo ritmi, bassi e melodie, diventa complesso suonare in diretta
con dei computer portatili come in una band tradizionale. Sotto questo punto di vista
il fascino della musica suonata (acustica o elettrica che sia) resta invariato.
Credo però che sia venuto il momento di dare un segnale netto contro certa musica pop e rock
che ormai non fa altro che autocibarsi di sé stessa.
I semi che ha gettato la Techno dalla metà degli anni ’80 hanno cambiato profondamente il modo
di comporre musica ed è ora che i ragazzi comprino dei laptop e distruggano tutto dalle fondamenta.
La maggiora parte della musica oggi viene composta con strumenti elettronici o comunque
strumentazioni elettroniche e digitali si usano per fare il 90% della musica che si sente per le radio.
Bisogna solo levare il velo dei finti musicisti sul palco e rivelare al pubblico la verità.
Come e quando e perché è iniziato tutto questo qui a Roma?
Un movimento musicale si basa su tre principi imprescindibili: far ascoltare la musica,
fare in maniera che la gente possa comprarla e fare in maniera che i media se ne occupino.
Nonostante la storica inerzia (soprattutto musicale) di Roma tutto questo è avvenuto con la Techno.
Verso la fine degli anni ’80 abbiamo avuto la possibilità di ballare la migliore musica possibile:
techno, breakbeat, new-beat, electro, acid, freestyle, ecc.
Bastava andare alla festa giusta o al rave giusto e decidere di ascoltare con la mente aperta. I nomi di riferimento di quel periodo per me sono
stati senza dubbio Lory D e Mauro Tannino che hanno importato questa musica andando a cercarla
dove era disponibile (soprattutto Londra in quegli anni).
Poi hanno fatto in maniera che delle persone organizzassero degli eventi sul tipo di quelli che c’erano oltre il nostro confine.
Li hanno cercati, spronati e spinti a credere nella loro idea.
Ovviamente la gente doveva anche poter comprare i dischi che sentiva ai rave o ai party in giro per Roma
e qui non posso poi non nominare Remix senza cui tutta la musica di cui parlavamo prima
non sarebbe mai potuta essere importata.
In quel periodo un aiuto importantissimo è venuto anche dalla radio che aveva il suo punto di riferimento
nel programma pomeridiano di Luca Cucchetti su Radio Centrosuono e anche nel mega contenitore del sabato notte, Centrosuono Rave, a cui collaboravano anche amici come Emilio Loizzo (Recycle)
e un giovanissimo Marco Passarani.
Per spingere in maniera più compatta l’intera scena e per fare più informazione,
nel 1993 ho anche creato una fanzine chiamata Tunnel in cui oltre ad intervistare nomi storici
come Underground Resistance, Jeff Mills e The Mover, presentavo praticamente tutti gli artisti romani
e gettavo uno sguardo più approfondito sulle nuove tecnologie e sulle loro influenze nel nostro quotidiano.
Rispetto ad altre città italiane toccate anch’esse dal fenomeno rave e techno, sin dal 1990
Roma ha subito iniziato a produrre musica, creando anche delle etichette che portassero
avanti un proprio stile originale. In questo caso i nomi di riferimento per me sono stati
Lory D con la sua Sounds Never Seen (con cui ho avuto l’onore di collaborare) e Leo Anibaldi.
Leo pur non essendo proprietario della ACV, l’etichetta per cui incideva, ha in pratica dato una connotazione fondamentale all’etichetta sia con la sua musica, sia nei consigli che diede ai suoi produttori,
che non erano certo molto preparati nel campo
Sicuramente faccio un torto a qualcuno non nominandolo, ma ho parlato solo della fase iniziale
della scena che poi è rimasta viva grazie all’attività di molti altri dj/produttori (Max Durante, Marco e Fabrizio D’Arcangelo, Marco Micheli, Gabriele Rizzo, Marco Passarani, A.D.C., T.E.W., Dynamic Wave, Mat101, Amptek,
A Credible Eye Witness, Jolly Music, Ambit 3) che hanno prodotto ottima musica e creato nuove etichette
(Plasmek, Nature, XForces, El.EX, Habitat, Eclectic, Finalfrontier, Syncretic, Idroscalo).
Credo che difficilmente ci sia in Italia una città con una produzione musicale così vasta e credo che il rispetto che Roma ed alcuni dei suoi produttori si sono ritagliati all’estero sia proprio dovuto a questa
lunga devozione all’elettronica.
Inoltre non si può non citare anche l’attività di alcuni centri sociali e dei molti rave illegali
venuti nella seconda metà degli anni novanta, tramite cui la gente ha potuto continuare
a sentire musica elettronica a 360°.
Quale rapporto c’è stato fra la scena storica di Roma e i movimenti presenti a Detroit e Londra?
Sin dall’inizio sia Detroit che Londra sono state attente a quello che si faceva a Roma.
Ad esempio ricordo che nel 1991 il Sounds Never Seen 001 era suonato al Rage di Londra da Fabio e Grooverider.
Anche Richard D. James e Grant Wilson erano dei fan di Lory, come del resto di Leo Anibaldi.
In seguito infatti la Rephlex chiese a Leo di incidere per loro l’album “Void”. Anche Marco Passarani ricevette
un fax di complimenti e di auguri dalla Rephlex quando uscì il primo 12” della Nature.
Grant mi mandò anche dei complimenti per il mio disco “Skull” per la Sysmo. Insomma c’era molto rispetto.
Avevano capito che tutti noi facevamo musica per passione e con l’intento di innovare.
Ognuno con il suo stile, ma con uno scopo comune.
Poi, quando con Marco Passarani abbiamo creato Finalfrontier, i rapporti si sono stretti anche
con alcuni fondamentali negozi di dischi londinesi come Silverfish (divenuto poi Eukatech)
e Fatcat con cui abbiamo stabilito anche degli ottimi rapporti personali.
Con Detroit i rapporti sono nati soprattutto quando Underground Resistance sono venuti a Roma
per suonare in un rave nel 1993. Noi gli demmo una grossa mano perché avevano avuto dei problemi tecnici
durante le prove e nacque una forte amicizia. Io poi li intervistai per Tunnel e vennero anche a trovarci al club
in cui suonavo a quel tempo con Marco Micheli e Gabriele Rizzo. Marco Passarani in seguito iniziò
anche a collaborare con la Generator di Alan Oldham. In ogni caso Mike Banks degli U.R. era già un grande
fan di Leo Anibaldi e seguiva la scena con molta attenzione e rispetto sin dagli inizi.
Ma chi è sto Eugenio Vatta?
Eugenio Vatta è un grande musicista, ottimo ingegnere del suono e mio carissimo amico
che conosco fin dai tempi della scuola. Ci eravamo subito intesi per l’amore comune per la
musica più sperimentale e nel 1990 decidemmo di mettere su uno studio di registrazione.
Entrammo in contatto con Lory D che stava tirando su la sua etichetta, Sounds Never Seen
e che aveva bisogno di una base produttiva.
A Lory piacque lo studio ed iniziammo a produrre musica.
Poi dopo l’LP per la BMG di Lory (“Antisystem”) abbiamo chiuso lo studio e abbiamo creato due progetti paralleli,
Experience e Frame. Experience era il progetto più “dance” anche se con molta sperimentazione dentro,
mentre Frame era un progetto creato per uno show multimediale.
In pratica suonavamo in diretta con degli strumenti elettronici su un video creato da noi
con un sistema di spekear in quadrifonia. All’inizio il video lo avevamo realizzato
con un cut-up di immagini prese da film e da video, poi abbiamo coinvolto dei videomaker
e abbiamo inserito sempre di più immagini realizzate apposta per noi. La formazione cambiava in base allo show.
Abbiamo suonato anche in sei (c’era anche Amptek)!!
Con Eugenio e Marco Passarani adesso stiamo portando avanti un laboratorio musicale
per far conoscere la musica elettronica e la sua evoluzione nel tempo.
L’anno scorso l’abbiamo realizzato con la supervisione organizzativa di Alessio Arcadi
per una serie di scuole superiori del Lazio con il patrocinio dell’Assesorato alle Culture
e alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma, mentre quest’anno lo porteremo a Distorsonie,
il festival di Musica Elettronica organizato dalla H-uge che si terrà al Link di Bologna dal 18 al 21 Aprile
e al Futurshow nello spazio Educational dell’aerea Futurmusic.
(tratto da The Zone Bulletin 3)
Contiene un interessante ricostruzione della scena di Roma degli anni 90.
Molti di coloro che si avvicinano oggi alla musica elettronica ne ignorano completamente la storia e gli stili, e purtroppo si è persa anche la memoria di quello che è stata la scena romana che ha dato vita a questo fenomeno anche in Italia. Questo ripescaggio di un'intervista cosi antica, permette di apprenderne alcuni aspetti.
Cos’è per te la techno?
Significa far filtrare le proprie emozioni e le proprie esperienze, personali e culturali, tramite
degli strumenti elettronici,
cercando di creare una musica che sia la massima espressione del rapporto uomo/macchina.
Quale rapporto c’è fra te e la “macchina”?
Credo che la “macchina” in senso lato debba consentirci di essere migliori di quello che siamo e
di farci fare cose che da soli non potremmo fare. Quindi per me la “macchina” è un estensione dell’uomo.
Come tutti ho dei rapporti migliori con alcune macchine rispetto ad altre.
A volte non mi rispecchio con le strutture di alcune macchine (che poi sono lo specchio delle persone che le hanno ideate) perché le trovo troppo contorte. Secondo me una macchina,
e non solo musicale, deve essere semplice nell’uso e nell’interfaccia con l’utente.
Al contrario si rischia di far passare come normale il concetto che uno strumento tecnologico debba essere necessariamente complesso per essere avanzato, che è come dire che l’intelligenza d una persona si misura dalla complessità dell’esposizione dei suoi concetti e non dal loro contenuto.
Quale differenza ravvedi fra il modo “tradizionale” di fare musica e l’approccio elettronico?
Credo che la differenza fondamentale stia nel fatto che la musica composta con strumenti elettronici
(o con software) permette di creare musica da soli. Da una parte è un bene perché ti permette
di non scendere a compromessi con nessuno, dall’altra è una cosa negativa perché chiude
dei rapporti potenzialmente costruttivi con altre esperienze esterne a te.
Secondo me ancora non ci sono gli strumenti elettronici adatti per comporre musica elettronica in gruppo,
però credo che possa essere molto interessante. Esistono già delle band formate da soli laptop user,
ma credo che sia una situazione più adatta alla musica improvvisata o d’avanguardia.
Quando entrano in campo ritmi, bassi e melodie, diventa complesso suonare in diretta
con dei computer portatili come in una band tradizionale. Sotto questo punto di vista
il fascino della musica suonata (acustica o elettrica che sia) resta invariato.
Credo però che sia venuto il momento di dare un segnale netto contro certa musica pop e rock
che ormai non fa altro che autocibarsi di sé stessa.
I semi che ha gettato la Techno dalla metà degli anni ’80 hanno cambiato profondamente il modo
di comporre musica ed è ora che i ragazzi comprino dei laptop e distruggano tutto dalle fondamenta.
La maggiora parte della musica oggi viene composta con strumenti elettronici o comunque
strumentazioni elettroniche e digitali si usano per fare il 90% della musica che si sente per le radio.
Bisogna solo levare il velo dei finti musicisti sul palco e rivelare al pubblico la verità.
Come e quando e perché è iniziato tutto questo qui a Roma?
Un movimento musicale si basa su tre principi imprescindibili: far ascoltare la musica,
fare in maniera che la gente possa comprarla e fare in maniera che i media se ne occupino.
Nonostante la storica inerzia (soprattutto musicale) di Roma tutto questo è avvenuto con la Techno.
Verso la fine degli anni ’80 abbiamo avuto la possibilità di ballare la migliore musica possibile:
techno, breakbeat, new-beat, electro, acid, freestyle, ecc.
Bastava andare alla festa giusta o al rave giusto e decidere di ascoltare con la mente aperta. I nomi di riferimento di quel periodo per me sono
stati senza dubbio Lory D e Mauro Tannino che hanno importato questa musica andando a cercarla
dove era disponibile (soprattutto Londra in quegli anni).
Poi hanno fatto in maniera che delle persone organizzassero degli eventi sul tipo di quelli che c’erano oltre il nostro confine.
Li hanno cercati, spronati e spinti a credere nella loro idea.
Ovviamente la gente doveva anche poter comprare i dischi che sentiva ai rave o ai party in giro per Roma
e qui non posso poi non nominare Remix senza cui tutta la musica di cui parlavamo prima
non sarebbe mai potuta essere importata.
In quel periodo un aiuto importantissimo è venuto anche dalla radio che aveva il suo punto di riferimento
nel programma pomeridiano di Luca Cucchetti su Radio Centrosuono e anche nel mega contenitore del sabato notte, Centrosuono Rave, a cui collaboravano anche amici come Emilio Loizzo (Recycle)
e un giovanissimo Marco Passarani.
Per spingere in maniera più compatta l’intera scena e per fare più informazione,
nel 1993 ho anche creato una fanzine chiamata Tunnel in cui oltre ad intervistare nomi storici
come Underground Resistance, Jeff Mills e The Mover, presentavo praticamente tutti gli artisti romani
e gettavo uno sguardo più approfondito sulle nuove tecnologie e sulle loro influenze nel nostro quotidiano.
Rispetto ad altre città italiane toccate anch’esse dal fenomeno rave e techno, sin dal 1990
Roma ha subito iniziato a produrre musica, creando anche delle etichette che portassero
avanti un proprio stile originale. In questo caso i nomi di riferimento per me sono stati
Lory D con la sua Sounds Never Seen (con cui ho avuto l’onore di collaborare) e Leo Anibaldi.
Leo pur non essendo proprietario della ACV, l’etichetta per cui incideva, ha in pratica dato una connotazione fondamentale all’etichetta sia con la sua musica, sia nei consigli che diede ai suoi produttori,
che non erano certo molto preparati nel campo
Sicuramente faccio un torto a qualcuno non nominandolo, ma ho parlato solo della fase iniziale
della scena che poi è rimasta viva grazie all’attività di molti altri dj/produttori (Max Durante, Marco e Fabrizio D’Arcangelo, Marco Micheli, Gabriele Rizzo, Marco Passarani, A.D.C., T.E.W., Dynamic Wave, Mat101, Amptek,
A Credible Eye Witness, Jolly Music, Ambit 3) che hanno prodotto ottima musica e creato nuove etichette
(Plasmek, Nature, XForces, El.EX, Habitat, Eclectic, Finalfrontier, Syncretic, Idroscalo).
Credo che difficilmente ci sia in Italia una città con una produzione musicale così vasta e credo che il rispetto che Roma ed alcuni dei suoi produttori si sono ritagliati all’estero sia proprio dovuto a questa
lunga devozione all’elettronica.
Inoltre non si può non citare anche l’attività di alcuni centri sociali e dei molti rave illegali
venuti nella seconda metà degli anni novanta, tramite cui la gente ha potuto continuare
a sentire musica elettronica a 360°.
Quale rapporto c’è stato fra la scena storica di Roma e i movimenti presenti a Detroit e Londra?
Sin dall’inizio sia Detroit che Londra sono state attente a quello che si faceva a Roma.
Ad esempio ricordo che nel 1991 il Sounds Never Seen 001 era suonato al Rage di Londra da Fabio e Grooverider.
Anche Richard D. James e Grant Wilson erano dei fan di Lory, come del resto di Leo Anibaldi.
In seguito infatti la Rephlex chiese a Leo di incidere per loro l’album “Void”. Anche Marco Passarani ricevette
un fax di complimenti e di auguri dalla Rephlex quando uscì il primo 12” della Nature.
Grant mi mandò anche dei complimenti per il mio disco “Skull” per la Sysmo. Insomma c’era molto rispetto.
Avevano capito che tutti noi facevamo musica per passione e con l’intento di innovare.
Ognuno con il suo stile, ma con uno scopo comune.
Poi, quando con Marco Passarani abbiamo creato Finalfrontier, i rapporti si sono stretti anche
con alcuni fondamentali negozi di dischi londinesi come Silverfish (divenuto poi Eukatech)
e Fatcat con cui abbiamo stabilito anche degli ottimi rapporti personali.
Con Detroit i rapporti sono nati soprattutto quando Underground Resistance sono venuti a Roma
per suonare in un rave nel 1993. Noi gli demmo una grossa mano perché avevano avuto dei problemi tecnici
durante le prove e nacque una forte amicizia. Io poi li intervistai per Tunnel e vennero anche a trovarci al club
in cui suonavo a quel tempo con Marco Micheli e Gabriele Rizzo. Marco Passarani in seguito iniziò
anche a collaborare con la Generator di Alan Oldham. In ogni caso Mike Banks degli U.R. era già un grande
fan di Leo Anibaldi e seguiva la scena con molta attenzione e rispetto sin dagli inizi.
Ma chi è sto Eugenio Vatta?
Eugenio Vatta è un grande musicista, ottimo ingegnere del suono e mio carissimo amico
che conosco fin dai tempi della scuola. Ci eravamo subito intesi per l’amore comune per la
musica più sperimentale e nel 1990 decidemmo di mettere su uno studio di registrazione.
Entrammo in contatto con Lory D che stava tirando su la sua etichetta, Sounds Never Seen
e che aveva bisogno di una base produttiva.
A Lory piacque lo studio ed iniziammo a produrre musica.
Poi dopo l’LP per la BMG di Lory (“Antisystem”) abbiamo chiuso lo studio e abbiamo creato due progetti paralleli,
Experience e Frame. Experience era il progetto più “dance” anche se con molta sperimentazione dentro,
mentre Frame era un progetto creato per uno show multimediale.
In pratica suonavamo in diretta con degli strumenti elettronici su un video creato da noi
con un sistema di spekear in quadrifonia. All’inizio il video lo avevamo realizzato
con un cut-up di immagini prese da film e da video, poi abbiamo coinvolto dei videomaker
e abbiamo inserito sempre di più immagini realizzate apposta per noi. La formazione cambiava in base allo show.
Abbiamo suonato anche in sei (c’era anche Amptek)!!
Con Eugenio e Marco Passarani adesso stiamo portando avanti un laboratorio musicale
per far conoscere la musica elettronica e la sua evoluzione nel tempo.
L’anno scorso l’abbiamo realizzato con la supervisione organizzativa di Alessio Arcadi
per una serie di scuole superiori del Lazio con il patrocinio dell’Assesorato alle Culture
e alle Politiche Giovanili della Provincia di Roma, mentre quest’anno lo porteremo a Distorsonie,
il festival di Musica Elettronica organizato dalla H-uge che si terrà al Link di Bologna dal 18 al 21 Aprile
e al Futurshow nello spazio Educational dell’aerea Futurmusic.
(tratto da The Zone Bulletin 3)
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